Archivio mensile:febbraio 2021

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Lo avete chiesto ai bambini?

Chissà se qualcuno ha davvero pensato di chiedere ai bambini cosa ha lasciato loro dentro questo anno di pandemia e restrizioni, cosa desiderano e cosa pensano si dovrebbe fare per uscirne al meglio o almeno per lenirne le ferite. Mentre i grandi si azzuffano sulla riapertura delle scuole, dei parchi, delle palestre e di ogni cosa possibile e immaginabile, sugli argomenti che li riguardano non si è davvero mai sentita la voce dei diretti interessati: i bambini. Per questo, sarebbe bello se ci fosse un parlamento e un governo dei bambini, capaci di rappresentarli e immaginare un piccolo Draghi e un Mattarella magari un po’ meno seriosi ma altrettanto autorevoli. Qualcuno ascoltandomi penserà che i bambini non hanno l’esperienza e le conoscenze per decidere di cose così importanti, Ma voi li avete visti i cosiddetti grandi in tv, politici, giornalisti, virologi e tuttologi di ogni specie. Litigano proprio come bambini, dispettosi e permalosi, tutti dediti a fare a gara a chi attira di più l’attenzione degli altri. Ma,al contrario degli adulti, i bambini pur nella loro sincerità, a volte crudele, sanno far pace senza portare rancore e, soprattutto, sono incapaci di ipocrisie e di doppiezze. Per questo, sarebbe bello ascoltare davvero le loro opinioni e le loro voci. Purtroppo, però, aveva ragione Antoine de Saint Exupery quando diceva che “Tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano”.

Foto di pedro_wroclaw da Pixabay

 

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Violenza sulle donne: la morte di Clara, l’ennesima sconfitta per tutti

Si era già pagata il funerale, Clara Ceccarelli, la donna uccisa a Genova, con 30 coltellate,
dall’ex compagno. Un presagio del drammatico epilogo, quello di Clara, ma anche il segno di una resa e di una sconfitta per tutti: è come se Clara avesse voluto dire che se sei donna, in questa società, non puoi sentirti abbastanza sicura quando un marito o un compagno violento ti perseguita. Una ennesima storia che sfocia in un femminicidio e il volto di Clara si unisce, tristemente, alla galleria dei volti di donne che accompagnano fatti di cronaca, erroneamente definiti delitti passionali, perché la passione, quella vera, nulla ha a che fare con la violenza. In Italia viene uccisa una donna ogni tre giorni, un ritmo insensato e agghiacciante. La pandemia, come per altre cose, ha parzialmente distolto l’attenzione da questa emergenza sociale e ha anche avuto anche un effetto perverso su questo triste fenomeno: l’aumento dei casi di violenza. Si, perché per molte donne, quello che durante il lookdown avrebbe dovuto essere il rifugio più sicuro, il nucleo familiare,
si è trasformato in una prigione da incubo e la convivenza forzata ha reso loro ancora più difficile il sottrarsi da un partner violento. Perché non si ferma tutto questo? Perché non riusciamo ad estirpare nel 2021 i retaggi di una cultura maschilista, un virus antico che non ha trovato ancora un definitivo vaccino. L ’amore concepito come possesso, da uomini che affermano con la violenza un retrogrado senso di superiorità. Difficile dare una risposta in pochi secondi, occorre solo non fermarsi nel continuare a combattere, palmo a palmo, una battaglia culturale e di sensibilizzazione attraverso i media , nella società e soprattutto nelle scuole e far sì che siano date tutte le opportunità possibili alle donne di denunciare e trovare sostegno dopo le denunce, attraverso le istituzioni le forze dell’ordine e soprattutto attraverso tutte quelle associazioni che meritoriamente operano sul campo, nei territori e che per questo vanno sostenute. L’ umanità celebra in questi giorni lo sbarco della sonda Providence su Marte ma in questa parte di pianeta ci sono donne come Clara che muoiono per mano di uomini violenti, uomini che con il loro agire rinnegano il concetto stesso di umanità.

Foto di nonmisvegliate da Pixabay

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Che cos’è l’amor ?

Siamo all’indomani di San Valentino, almeno per chi ha potuto festeggiare, sono ancora alti i valori del colesterolo sentimentale e chissà se, tra un bacio scartato di cioccolata e uno, altrettanto dolce, dato sulle labbra, qualcuno ha avuto il tempo di riflettere sull’interrogativo che da tempo immemore il genere umano si pone, mirabilmente concentrato nel titolo di una sua canzone: “Che coss’è l’amor?”Che cos’è l’amore, inteso come passione per un’altra persona. Questo sentimento popolare che ci accompagna per tutta la nostra esistenza e che ci trasforma in volenterosi cercatori d’oro che setacciano il fiume della vita, in cerca di qualcosa di prezioso e unico. E, quando troviamo questo tesoro, una persona da amare, vogliamo gridare al mondo che siamo pronti a prendercene cura e a superare le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce, per non farlo invecchiare e a dire senza pudore “con le mani amore, per le mani ti prenderò e senza dire parole nel mio cuore ti porterò”. Chissà, quanto siamo consapevoli che, oltre l’esaltazione della passione, l’amore nella sua variante quotidiana, è fatto di gioia ma anche di noia che tradotto vuol dire che per dividere la vita con un’altra persona bisogna armarsi di pazienza e sopportazione. Perché ogni individuo per fortuna è unico e se fossimo tutti fatti con lo stampino la vita sarebbe di una noia mortale. Ho sperimentato che la più alta, ma anche più dolorosa, forma di amore si manifesta quando si è capaci di lasciare andare l’oggetto del proprio passione, insomma quando lei o lui decide che è finita. È la caducità della vita, quando l’amore che strappa i capelli, è perduto oramai e non resta che qualche svogliata carezza e un po’ di tenerezza. E allora se sei davvero maturo devi arrivare a dire “If You Love Somebody Set Them Free”: Se ami qualcuno davvero, lascialo libero. Ma in questo e in tutto quello che riguarda questo insondabile sentimento che è l’amore non ci sono regole. L’amore è carte da decifrare e giorni e notti per imparare. E di imparare non finiremo mai, studenti volenterosi che non si stancano mai di apprendere sul sentimento più bello che ci sia : l’amore.

Foto di Devanath da Pixabay

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Reality, la vita è altrove

Dayane Mello è una giovane modella brasiliana, una concorrente dell’edizione ancora in corso del Grande Fratello Vip e, mentre nella casa più famosa d’Italia, aspetta la finale del 3 marzo le succede qualcosa di tremendamente tragico: il giovane fratello Lucas, di soli 26 anni, muore in Brasile in un incidente stradale. La Mello viene avvertita dalla produzione ma, dopo un serrato conciliabolo, decide di restare nella casa e di giocarsi le sue chances di vittoria nel reality. Quello che ne consegue è che la modella ha dovuto elaborare il suo lutto sotto gli occhi di milioni di spettatori, gettandolo nella inesorabile centrifuga di un reality che è una miscellanea trash di gossip, esibizionismo e voyerismo. Ognuno è libero di fare quello che vuole, ci mancherebbe, ma quello che mi chiedo è fino a dove si può spingere la frontiera che rende le nostre vite, parte del grande spettacolo mediatico – virtuale, e se esiste almeno una piccola fortezza invalicabile di intimità, nella quale nessuno può accedere, che si sia vip o comuni mortali. Potrei esser tacciato di moralismo, ma ritengo diseducativo il messaggio che storie come queste trasmettono, così come quelle di chi pensa di risolvere delicati conflitti familiari, o sentimentali, affidandosi a programmi tv di successo. Soprattutto ai più giovani, occorrerebbe spiegare che le storie personali date in pasto ai format tv vengono masticate in quel breve lasso di tempo nel quale possono suscitare interesse, per poi essere sputate come chewing gum senza sapore. I sentimenti banalizzati, consumati e buttati via come fazzoletti usa e getta e solo in nome dell’audience. Tutto questo è inesorabile? Forse dovremmo tornare a comprendere e soprattutto a spiegare, sempre ai più giovani, che la vita è uno spettacolo unico che appartiene prima di tutto e a noi stessi non dipende dal numero dei like o degli spettatori che otteniamo. Che le cose belle, così come anche i dolori e le sconfitte della vita hanno valore se condivise, innanzitutto, con le persone che davvero hanno a cuore il nostro destino. Dovremmo essere come il protagonista di The Truman Show , mirabilmente interpretato da Jim Carrey, e tornare all’autenticità della vita. La nostra esistenza che non è un reality anche quando ci dicono, di fronte alla morte di un fratello, che tutto va bene, che “the show must go on”.

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Polemiche Festival al tempo del Covid

Grande è la confusione sotto il cielo, in questo tempo sospeso che viviamo da più di anno. Forse sarò qualunquista ma ho pensato che ,con la terribile media di 500 morti al giorno e, su un diverso piano, con le sofferenze estreme vissute da un anno da tutto il mondo dello spettacolo, la polemica sul pubblico presente o no al Festival di Sanremo ce la potevamo risparmiare. Come avrete letto Amadeus e con lui Fiorello, hanno minacciato di dimettersi se non fosse stato presente il pubblico, anche sotto forma di figuranti, al mitico Teatro Ariston. Lungi da me giudicare due grandi professionisti e una vicenda di cui non sappiamo i retroscena e i dettagli, ma da un punto di vista comunicativo quelle del conduttore sono apparse pretese se non stonate, poco aderenti alla situazione che stiamo vivendo. È inutile fare gli snob, comunque, il Festival è lo specchio del nostro Paese, nel bene e nel male. Mai come questa volta, lo spettacolo italico pop per eccellenza potrebbe essere l’occasione di creare un moto di empatia e di sensibilizzazione nei confronti di gestori, artisti e maestranze della musica, dell’opera, del balletto, del teatro, anche e senza necessariamente il pubblico presente. Io spero insomma che Sanremo sia un punto di partenza per riavviare il mondo dello spettacolo in Italia e il suo indotto e, se così fosse, la presenza di una qualche forma di pubblico sarebbe condivisibile. Non sarebbe condivisibile se obbedisse solo a logiche commerciali o di audience, o se si volesse marcare una distanza e un privilegio tra il Festival e il resto dello spettacolo italiano. In questo caso, Sanremo potrebbe apparire come il Conte del Grillo, mirabilmente interpretato da Alberto Sordi, nella famosa scena della rissa nella bettola, al termine della quale, apostrofa gli increduli popolani “Perché io so io e voi non siete…” Insomma avete capito.