Archivio mensile:dicembre 2020

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Caro Babbo Natale

Caro Babbo Natale, sarebbe bello tornare a scriverti come quando ero bambino e la mano tremolante componeva letterine da leggere prima o durante la cena natalizia e speranzosi si attendeva che genitori, nonni o zii ci elargissero l’attesa banconota, a quei tempi in lire. Ora però voglio chiederti anch’io quello che tutti probabilmente ti chiederanno quest’anno. Come regalo per Natale, e per il prossimo anno, toglici finalmente dalle scatole questa pandemia che proprio non ce la facciamo più. Portacela via assieme ai negazionisti, ai dibattiti tv sul nulla, alle indecisioni di chi ci governa, alle zone colorate  e e a tutto quello di brutto che tu sai. Tu che sei nel settore dei trasporti, caro Babbo Natale, facci arrivare al più presto   questo benedetto vaccino. Si in tv dicono che ormai sta arrivando anche da noi, ma tra il dire e il fare, oltre al mare, ci sono la burocrazia e la disorganizzazione e tu sai come vanno queste cose in Italia. Lo so cosa mi riponderai Babbo, che il regalo che ti ho chiesto non ce lo meritiamo e che ci siamo comportati da bambini viziati e insofferenti. Dirai che appena ci hanno dato un po’ di libertà di siamo precipitati ad affollare strade, negozi, ristoranti e bar. Ci siamo dimenticati tutto e non abbiamo pensato a chi ha sofferto e a chi ancora potrebbe soffrire per colpa della nostra superficialità. Siamo stati cattivi è vero, ma tu sei buono e perdonaci, ci penserà poi la Befana, caso mai,  a portare cenere e carbone. Insomma, sotto l’albero facci ritrovare almeno la speranza di poter tornare a vivere normalmente. Nel ringraziarti anticipatamente, caro Babbo, visto che hai una certa età e perdonami se te lo ricordo, quando verrai non dimenticare di portare le mascherine e l’autocertificazione per te e per le renne e di sanificare la slitta. Sai il 24 e il 25 saremo in zona rossa,  e anche se è vero che al rosso sei abituato questa volta si tratta di una cosa diversa.

Buon Natale !

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

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Pablito, la nostalgia che sa di felicità

Ci sono momenti in cui per una fortunata congiunzione astrale tutto sembra realizzarsi per come lo desideriamo, ogni cosa va al suo posto, ogni minimo dettaglio di quello che accade ci rende felici. E quando questo miracolo è collettivo allora il sogno appartiene alla memoria di tutti. È quello che accadde in quel luglio del 1982 con i Mondiali di Spagna, a me adolescente e all’Italia che veniva da anni duri di sangue e austerità. Gli ingredienti di quella pozione magica li abbiamo nel cuore: le maglie azzurre mai così belle nella loro semplicità; le paterne presenze di Pertini e Bearzot; la sicurezza di Zoff, le magie di Bruno Conti; la ferocia di Gentile; l’urlo di Tardelli; i baffi di Bergomi; il coraggio di Graziani che non voleva arrendersi al dolore; la voce inconfondibile di Martellini. A questa meravigliosa miscellanea ognuno di noi lega uno o diversi ricordi. Io, ad esempio, ricordo la corsa verso il mare di Diamante, assieme agli amici, ai vacanzieri impazziti di felicità e il tuffarsi vestiti, ubriachi di gioia e avvolti nel tricolore. Paolo Rossi incarnò tutto questo, con il nome più comune, la faccia da bravo ragazzo della porta accanto, il fidanzato ideale di ogni figlia, il centravanti che fa quello che ogni centravanti dovrebbe fare: buttare la palla rete in un modo o in un altro e nei momenti decisivi. Ci identificammo tutti in lui e adesso che, purtroppo, se ne è andato a soli 64 anni, voglio ricordarlo con la serenità e il garbo che si leggevano sul suo volto, il sorriso di chi ha avuto tanto dalla vita ma con la consapevolezza e l’umiltà di aver dovuto lottare, cadere e poi rialzarsi per conquistare un sogno destinato a pochi. Un po’ come l’Italia, di cui Rossi divenne il simbolo in quella sfolgorante estate. Questo 2020 vuole cancellare la nostra memoria e i suoi protagonisti, ma non ci riuscirà. Scriveva Francis Scott Fitzgerald nel suo “Il grande Gatsby”: «Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato» e quel passato non è solo nostalgia ma è anche felicità se ha il sorriso dolce e le braccia alzate al cielo di Paolo Rossi dopo un gol. Grazie Pablito !

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Un Natale sobrio può essere più bello degli altri

Il Natale è la festa che più si avvicina al concetto di bellezza. Si illumina il cuore che nell’attesa e colmo di speranza e torna bambino. Si illuminano, scintillanti, le strade e le case di tutti noi. Sarà un Natale diverso quello che ci attende, ce lo stiamo dicendo in tutti i modi. Nella sua tragicità, la pandemia ci offre un’altra occasione di cambiamento, ci dà la possibilità di ritrovare l’essenza delle cose. In fondo cosa vi è di più umile, e nel contempo grandioso, di un bambino che nasce in una misera stalla. Che si sia credenti o no, i secoli ci hanno preservato la profonda bellezza dei gesti compiuti in quella notte. La nascita, l’amore, la gratuità e la solidarietà. Li abbiamo dimenticati con il tempo e oggi non facciamo altro che parlarci uno sull’altro e pretendere i nostri presunti diritti da animali da consumo; dimenticando, ad esempio, che a causa della pandemia ogni giorno stanno morendo tante persone, vittime di un nemico invisibile e feroce e che ora più che mai il destino di ognuno di noi è legato a quello degli altri. Abbiamo qualche giorno per rifletterci, lo dico anche me stesso, quest’anno sforziamoci di riempire il Natale di gesti essenziali e di sobrietà avremo poi tempo di sciare, consumare e festeggiare. Papa Francesco ha detto: “Se vogliamo festeggiare il vero Natale, contempliamo questo segno: la semplicità fragile di un piccolo neonato. Lì sta Dio”. E se posso, permettimi di aggiungere un Natale più semplice può anche rivelarsi il Natale più bello degli altri.

Foto di Vickie McCarty da Pixabay

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Maradona i demoni e il bambino con il pallone tra i piedi

Quando ero più giovane, hanno sempre fatto rabbia quegli artisti, sportivi, uomini di cultura e di scienza che pur dotati di un grande talento hanno fatto di tutto per dissiparlo votandosi all’autodistruzione e negandoci poi di godere dei frutti di quello stesso. Da appassionato di musica ho pensato a cosa avrebbero potuto donarci Jimi Hendrix, Janis Joplin, Amy Whinehouse, altri grandi artisti, se non fossero andati via troppo presto anche a causa dei loro eccessi. Ho poi però acquisito la consapevolezza che ognuno di noi può essere abitato da demoni che possono emergere e prendere il sopravvento, soprattutto se il percorso della nostra vita svolta curve sbagliate. L’esistenza di ogni individuo è materia complessa e non segue logiche lineari. Questa premessa per parlare di Diego Armando Maradona, scomparso in questi giorni. Beninteso, El Pibe de Oro, nonostante tutto, ha lasciato una traccia indelebile. Ha vinto un mondiale con l’Argentina, due scudetti e una coppa UEFA con il Napoli, ha segnato alcuni dei gol più belli della storia del calcio, probabilmente i più belli. Ma, è stato lui stesso ad ammettere a Emir Kusturica che lo intervista durante il suo bellissimo film documentario: “sai, che giocatore sarei stato se non avessi tirato cocaina”. E si probabilmente la sua carriera, vista la sua immensa classe, sarebbe potuta durare molto di più e pensiamo, ancora, cosa altro avrebbe potuto fare il Maradona simbolo, contro i poteri forti del calcio mondiale e per i diritti dei popoli dell’America latina. Dei se e dei ma son piene le fosse, recita il vecchio proverbio, e quel che resta è solo la tristezza per la morte di uomo andato via troppo presto, perché il suo fisico non ha retto ad un vita minata da troppi eccessi. Ma, ho una convinzione, rivedendo i video del Maradona calciatore: quando aveva pallone il pallone tra i piedi El Pibe tornava davvero quel bambino che palleggiava sui campetti terrosi del barrio di Villa Fiorito e sembrava estraniarsi da tutto i resto. Tutti noi con un pallone tra i piedi, in fondo, torniamo bambini e riacquistiamo una sorta di perduta innocenza. Ma, la differenza tra noi comuni mortali e Maradona è che lui era il migliore di tutti, era il genio assoluto, era Diego Armando Maradona.