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Storie del 2020 per il nuovo anno che comincia

Gesti, parole personaggi da tre storie per salutare questo “jellato” 2020, e guardare con speranza all’anno che sta per arrivare. Comincerei da Joe Biden che si è vaccinato contro il Covid in diretta televisiva. “Fatelo tutti, è sicuro”, ha detto il neopresidente americano aggiungendo: “Questo è solo l’inizio per porre fine alla pandemia”. Biden magari non ha il carisma di Kennedy o di Obama, ma ha già compiuto un gesto forte da leader responsabile. Non è da poco dopo gli sfaceli compiuti da chi lo ha preceduto. Perdonate il volo pindarico ma vorrei poi citare un uomo della mia terra, Rino Gattuso, che ha parlato in un’intervista della sua malattia all’occhio, la miastenia, tornata ad affliggerlo per la terza volta in dieci anni, rendendo difficile il suo lavoro di allenatore e costringendolo a indossare una vistosa benda all’occhio e degli occhiali speciali. “Voglio fare un appello a tutti quei ragazzini che non si vedono belli – ha detto Ringhio – la vita è bella e bisogna affrontarla senza paura, non bisogna nascondersi. L’occhio andrà al suo posto e sarò più bello il più presto possibile”. Parole esemplari di coraggio, da un personaggio che si è dimostrato ancora una volta un campione nella vita oltre che nello sport. Infine, ma non da ultimo in importanza, voglio parlarvi di un pollice che si alza in segno di ok, un gesto semplicissimo che diviene eccezionale e commovente se a compierlo è Alex Zanardi. La notizia, infatti, è che migliorano le condizioni di questo campione che sta lottando per superare l’ennesimo e terribile incidente della sua vita. Il Campione paraolimpico che oltre al gesto di ok stringe la mano a richiesta e sente cosa gli viene detto. Miglioramenti che fanno sperare nel recupero e che testimoniano il tenace attaccamento alla vita di Zanardi. La responsabilità di Baden, il coraggio di Gattuso, la voglia di vivere di Zanardi, nonostante tutto. Tre esempi e tre sentimenti che vorrei ci accompagnassero nell’anno che verrà, dopo tutto quello che abbiamo passato nel 2020. Che sia questo per tutti l’anno della rinascita e del ritorno alla normalità!

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Caro Babbo Natale

Caro Babbo Natale, sarebbe bello tornare a scriverti come quando ero bambino e la mano tremolante componeva letterine da leggere prima o durante la cena natalizia e speranzosi si attendeva che genitori, nonni o zii ci elargissero l’attesa banconota, a quei tempi in lire. Ora però voglio chiederti anch’io quello che tutti probabilmente ti chiederanno quest’anno. Come regalo per Natale, e per il prossimo anno, toglici finalmente dalle scatole questa pandemia che proprio non ce la facciamo più. Portacela via assieme ai negazionisti, ai dibattiti tv sul nulla, alle indecisioni di chi ci governa, alle zone colorate  e e a tutto quello di brutto che tu sai. Tu che sei nel settore dei trasporti, caro Babbo Natale, facci arrivare al più presto   questo benedetto vaccino. Si in tv dicono che ormai sta arrivando anche da noi, ma tra il dire e il fare, oltre al mare, ci sono la burocrazia e la disorganizzazione e tu sai come vanno queste cose in Italia. Lo so cosa mi riponderai Babbo, che il regalo che ti ho chiesto non ce lo meritiamo e che ci siamo comportati da bambini viziati e insofferenti. Dirai che appena ci hanno dato un po’ di libertà di siamo precipitati ad affollare strade, negozi, ristoranti e bar. Ci siamo dimenticati tutto e non abbiamo pensato a chi ha sofferto e a chi ancora potrebbe soffrire per colpa della nostra superficialità. Siamo stati cattivi è vero, ma tu sei buono e perdonaci, ci penserà poi la Befana, caso mai,  a portare cenere e carbone. Insomma, sotto l’albero facci ritrovare almeno la speranza di poter tornare a vivere normalmente. Nel ringraziarti anticipatamente, caro Babbo, visto che hai una certa età e perdonami se te lo ricordo, quando verrai non dimenticare di portare le mascherine e l’autocertificazione per te e per le renne e di sanificare la slitta. Sai il 24 e il 25 saremo in zona rossa,  e anche se è vero che al rosso sei abituato questa volta si tratta di una cosa diversa.

Buon Natale !

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

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Pablito, la nostalgia che sa di felicità

Ci sono momenti in cui per una fortunata congiunzione astrale tutto sembra realizzarsi per come lo desideriamo, ogni cosa va al suo posto, ogni minimo dettaglio di quello che accade ci rende felici. E quando questo miracolo è collettivo allora il sogno appartiene alla memoria di tutti. È quello che accadde in quel luglio del 1982 con i Mondiali di Spagna, a me adolescente e all’Italia che veniva da anni duri di sangue e austerità. Gli ingredienti di quella pozione magica li abbiamo nel cuore: le maglie azzurre mai così belle nella loro semplicità; le paterne presenze di Pertini e Bearzot; la sicurezza di Zoff, le magie di Bruno Conti; la ferocia di Gentile; l’urlo di Tardelli; i baffi di Bergomi; il coraggio di Graziani che non voleva arrendersi al dolore; la voce inconfondibile di Martellini. A questa meravigliosa miscellanea ognuno di noi lega uno o diversi ricordi. Io, ad esempio, ricordo la corsa verso il mare di Diamante, assieme agli amici, ai vacanzieri impazziti di felicità e il tuffarsi vestiti, ubriachi di gioia e avvolti nel tricolore. Paolo Rossi incarnò tutto questo, con il nome più comune, la faccia da bravo ragazzo della porta accanto, il fidanzato ideale di ogni figlia, il centravanti che fa quello che ogni centravanti dovrebbe fare: buttare la palla rete in un modo o in un altro e nei momenti decisivi. Ci identificammo tutti in lui e adesso che, purtroppo, se ne è andato a soli 64 anni, voglio ricordarlo con la serenità e il garbo che si leggevano sul suo volto, il sorriso di chi ha avuto tanto dalla vita ma con la consapevolezza e l’umiltà di aver dovuto lottare, cadere e poi rialzarsi per conquistare un sogno destinato a pochi. Un po’ come l’Italia, di cui Rossi divenne il simbolo in quella sfolgorante estate. Questo 2020 vuole cancellare la nostra memoria e i suoi protagonisti, ma non ci riuscirà. Scriveva Francis Scott Fitzgerald nel suo “Il grande Gatsby”: «Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato» e quel passato non è solo nostalgia ma è anche felicità se ha il sorriso dolce e le braccia alzate al cielo di Paolo Rossi dopo un gol. Grazie Pablito !

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Un Natale sobrio può essere più bello degli altri

Il Natale è la festa che più si avvicina al concetto di bellezza. Si illumina il cuore che nell’attesa e colmo di speranza e torna bambino. Si illuminano, scintillanti, le strade e le case di tutti noi. Sarà un Natale diverso quello che ci attende, ce lo stiamo dicendo in tutti i modi. Nella sua tragicità, la pandemia ci offre un’altra occasione di cambiamento, ci dà la possibilità di ritrovare l’essenza delle cose. In fondo cosa vi è di più umile, e nel contempo grandioso, di un bambino che nasce in una misera stalla. Che si sia credenti o no, i secoli ci hanno preservato la profonda bellezza dei gesti compiuti in quella notte. La nascita, l’amore, la gratuità e la solidarietà. Li abbiamo dimenticati con il tempo e oggi non facciamo altro che parlarci uno sull’altro e pretendere i nostri presunti diritti da animali da consumo; dimenticando, ad esempio, che a causa della pandemia ogni giorno stanno morendo tante persone, vittime di un nemico invisibile e feroce e che ora più che mai il destino di ognuno di noi è legato a quello degli altri. Abbiamo qualche giorno per rifletterci, lo dico anche me stesso, quest’anno sforziamoci di riempire il Natale di gesti essenziali e di sobrietà avremo poi tempo di sciare, consumare e festeggiare. Papa Francesco ha detto: “Se vogliamo festeggiare il vero Natale, contempliamo questo segno: la semplicità fragile di un piccolo neonato. Lì sta Dio”. E se posso, permettimi di aggiungere un Natale più semplice può anche rivelarsi il Natale più bello degli altri.

Foto di Vickie McCarty da Pixabay

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Maradona i demoni e il bambino con il pallone tra i piedi

Quando ero più giovane, hanno sempre fatto rabbia quegli artisti, sportivi, uomini di cultura e di scienza che pur dotati di un grande talento hanno fatto di tutto per dissiparlo votandosi all’autodistruzione e negandoci poi di godere dei frutti di quello stesso. Da appassionato di musica ho pensato a cosa avrebbero potuto donarci Jimi Hendrix, Janis Joplin, Amy Whinehouse, altri grandi artisti, se non fossero andati via troppo presto anche a causa dei loro eccessi. Ho poi però acquisito la consapevolezza che ognuno di noi può essere abitato da demoni che possono emergere e prendere il sopravvento, soprattutto se il percorso della nostra vita svolta curve sbagliate. L’esistenza di ogni individuo è materia complessa e non segue logiche lineari. Questa premessa per parlare di Diego Armando Maradona, scomparso in questi giorni. Beninteso, El Pibe de Oro, nonostante tutto, ha lasciato una traccia indelebile. Ha vinto un mondiale con l’Argentina, due scudetti e una coppa UEFA con il Napoli, ha segnato alcuni dei gol più belli della storia del calcio, probabilmente i più belli. Ma, è stato lui stesso ad ammettere a Emir Kusturica che lo intervista durante il suo bellissimo film documentario: “sai, che giocatore sarei stato se non avessi tirato cocaina”. E si probabilmente la sua carriera, vista la sua immensa classe, sarebbe potuta durare molto di più e pensiamo, ancora, cosa altro avrebbe potuto fare il Maradona simbolo, contro i poteri forti del calcio mondiale e per i diritti dei popoli dell’America latina. Dei se e dei ma son piene le fosse, recita il vecchio proverbio, e quel che resta è solo la tristezza per la morte di uomo andato via troppo presto, perché il suo fisico non ha retto ad un vita minata da troppi eccessi. Ma, ho una convinzione, rivedendo i video del Maradona calciatore: quando aveva pallone il pallone tra i piedi El Pibe tornava davvero quel bambino che palleggiava sui campetti terrosi del barrio di Villa Fiorito e sembrava estraniarsi da tutto i resto. Tutti noi con un pallone tra i piedi, in fondo, torniamo bambini e riacquistiamo una sorta di perduta innocenza. Ma, la differenza tra noi comuni mortali e Maradona è che lui era il migliore di tutti, era il genio assoluto, era Diego Armando Maradona.

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Non perdonarci piccolo Joseph

Piccolo Joseph , piccolo angelo morto nelle acque gelide del Mediterraneo tra le urla disperate di tua madre. Ora siamo tutti qui a chiederti scusa, ma tu le nostre scuse non le dovresti accettare. Non so se a sei mesi hai davvero compreso quello che di terribile ti stava accadendo. Se avessi avuto sei anni forse avresti pensato che stavi per vivere un’avventura, una favola, di quelle che ti raccontano la mamma, il papà o i nonni per farti addormentare. Quelle storie dove i mostri alla fine scappano via. Non hai avuto il tempo di ascoltarle quelle favole, ma i mostri si li hai conosciuti e non sono andati via. Quei mostri dai vestiti eleganti, gli uomini e le donne che governano l’Europa, incapaci di decidere su tutto e di aiutare chi veramente soffre. I mostri da tastiera, che hanno avuto l’osceno coraggio di vomitare, dal web, odio e insulti su di te e su tua madre. La vostra colpa è stata quella di cercare un futuro migliore per scappare da fame e guerra. I mostri siamo anche noi: pronti a indignarci a intermittenza ma incapaci di rinunciare realmente alla nostra zona di conforto, alle nostre calde certezze. La rabbia presto svanirà e torneremo a parlare del nulla ma nel frattempo altri piccoli Joseph moriranno atrocemente nelle acque del Mediterraneo. Io ho la fortuna di affacciarmi ogni giorno su questo mare che è meraviglioso ma troppo pieno di lacrime. Di lacrime che noi non sappiamo più riconoscere. Per questo non devi accettare le nostre scuse ,piccolo Joseph, e non ci devi perdonare per il senso di umanità che oramai abbiamo perduto.

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Salviamo le librerie, luoghi dell’anima e della mente

È in difficoltà una delle librerie più famose del mondo. Shakespeare & Co. di Parigi, luogo di culto e meta di pellegrinaggio da parte di francesi e turisti, un tempo frequentata da personaggi come Hemingway e Scott Fitzegarld. Iconica è la sua vetrina, immortalata spesso sui social. La crisi del settore, gli effetti del Covid e soprattutto la concorrenza degli online store hanno fatto crollare il fatturato e spinto la proprietà a lanciare un vero e proprio appello online per salvarla. Stessa storia per l’altrettanto storica e famosa Strand Book Store di Manhattan a New York. Sono notizie, figlie del nostro tempo certo, ma che generano sentimenti di inquietudine e tristezza. Sì perché le librerie non sono semplici attività commerciali ma veri e propri luoghi dell’anima, rifugi confortevoli nei quali trovare riparo dal mondo cinico e baro che ci circonda. Trascorrere del tempo in libreria, perdersi tra gli scaffali alla ricerca di autori e generi preferiti, sospende il tempo piacevolmente, nutre l’anima e la mente, anche se mette pericolosamente a rischio i nostri già risicati budget. Ma, se ci fate caso, è al bancone delle novità librarie che si celebra la vera e propria epifania del lettore. È lì che l’amante dei libri, viene preso, citando il grande Battiato, da una sorta di “rapimento mistico e sensuale” e instaura un vero e proprio gioco di seduzione con i volumi, pronto a lasciarsi conquistare da una bella copertina, da un titolo coinvolgente. E vuoi mettere poi l’odore dei libri e il piacere di sfogliarli una prima volta : è qualcosa che sconfina quasi nell’erotico. Vorremmo allora lasciare questo rito di seduzione ad un clic online e alle mani anonime di un corriere? No di certo! Comunque l’ultimo DPCM lascia aperte le librerie anche nelle zone rosse, e allora se dobbiamo, come deve essere, rispettare il nuovo lockdown almeno possiamo viaggiare con i libri ed è un viaggio che, vi assicuro, è sempre bellissimo. Salviamo le librerie, allora, nostri rifugi e luoghi dell’anima e della mente.

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I baci ( e gli abbracci) rubati dal Covid

Maledetto Covid per uno, cento, mille motivi e, tra questi, quello di negarci l’espressione della nostra affettività, il compiersi di quei gesti di amore, affetto e amicizia che sono il dolce contorno della nostra vita di relazione. La paura e la giusta prudenza rischiano di rendere uno sbiadito ricordo il calore dei baci, di quelli più casti, così come di quelli più passionali. Come si farà ora per azzardare un primo bacio e sigillare un amore che nasce? Ci mancano gli abbracci con i quali ci leghiamo a chi ci è caro e finiremo per avere nostalgia anche delle pacche sulle spalle, persino di quelle rudemente virili alla Cannavacciuolo, per intenderci. E allora che dire delle mascherine, che ci negano la gioia di dare e ricevere luminosi sorrisi. Siamo divenuti ormai gli avatar di noi stessi, esseri virtuali che hanno relazioni virtuali e che per salutarsi improvvisano goffe danze da improbabili uccelli in amore, sfregandosi i gomiti o i pugni oppure, secondo l’ultima tendenza, battendosi il petto quasi in segno di costrizione. Intendiamoci, dobbiamo farlo, dobbiamo rispettare le regole, finché questo incubo non svanirà . Per il momento, e per quel che è possibile, proviamo a consolarci con l’arte e la cultura. Magari rileggendo gli immortali versi scritti da Edmond Rostand: “Ma poi che cosa è un bacio? Un apostrofo roseo messo tra le parole t’amo; un segreto detto sulla bocca;un istante d’infinito che ha il fruscio di un’ape tra le piante; una comunione che ha gusto di fiore; un mezzo per potersi respirare un po’ il cuore e assaporarsi l’anima a fior di labbra!“
In questo periodo siamo tutti come Rossana e sospirosi attendiamo che tornino presto quei baci e con loro anche gli abbracci, i sorrisi e la serenità perduta.

di Pippo Gallelli

Nella foto il celebre “bacio” di Francesco Hayez reinterpretato dallo street artist TvBoy

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Il Covid, Rodari e il cavaliere coraggioso che abbiamo nel cuore

Nulla sarà come prima!  Lo abbiamo detto a noi stessi, solennemente, nei mesi più duri del lockdown. Lo abbiamo giurato mentre insieme cantavamo dai balconi l’Inno di Mameli e Nessun dorma. Quando chiusi tra le mura domestiche pensavamo di aver riscoperto e riconquistato il cuore delle persone a noi vicine e facevamo grandi proclami pronti a prenderci carico dei destini del pianeta malato, come tanti novelli Greta Thunberg . Ma appena Il virus ha mollato la presa, purtroppo solo apparentemente, il vento caldo dell’estate e l’umano sentimento della rimozione hanno portato via ogni nostro buon proposito.  Diciamoci la verità il Covid ci ha fotografati impietosamente, nel bene e nel male, con i tutti i nostri pregi e i nostri difetti.  E ora che l’incubo si sta ripresentando, più dolorosa è la disillusione e grande è la confusione sotto il cielo.  Stiamo celebrando in questi giorni i cento anni dalla nascita di Gianni Rodari.   Ci vorrebbe davvero lui, ora, sotto questo cielo plumbeo, a farci riscoprire il nostro cuore bambino, capace di superare ogni avversità con la fantasia e, come nelle sue filastrocche, donare speranza al mondo che adesso ne ha maledettamente bisogno.   Di Rodari   dovremmo    recitare quei suoi versi che ci dicono che “In cuore abbiamo tutti un cavaliere pieno di coraggio, pronto a rimettersi sempre in viaggio”.  Come quel cavaliere allora sfidiamo la paura e ripartiamo sicuri di farcela perché possediamo la cosa più preziosa che esista: la nostra umanità. È proprio questo che Gianni Rodari ci ha insegnato con la sua vita e le sue opere.

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Salviamo i teatri, sono la nostra anima

I teatri sono posti speciali dove si esprime la cultura di un popolo ma anche luoghi vivi dove, in alcuni speciali frangenti della storia, di quello stesso popolo si costruiscono il futuro e la speranza. Vorrei ricordare, ad esempio, tre eventi che hanno contribuito a segnare l’uscita dell’Italia dalla tragedia della seconda guerra mondiale. Il 25 marzo 1945 Eduardo portò in scena per la prima volta, al Teatro San Carlo, Napoli Milionaria. La Guerra non era ancora finita ma Napoli si era già liberata dai nazisti con le eroiche e famose Quattro Giornate di Napoli. L’11 maggio 1946, alla Scala di Milano, il grande maestro Arturo Toscanini diresse il concerto con cui il teatro venne riaperto, dopo essere stato distrutto dai bombardamenti nel 1943. Sempre a Milano, il 14 maggio 1947, Giorgio Strehler, Paolo Grassi e sua moglie Nina Vinchi, fondarono il Piccolo Teatro di Milano, il primo teatro stabile italiano. Questa è la nostra storia, ma l’oggi, per i nostri teatri, ha le tinte fosche delle gravi limitazioni imposte dalla pandemia e delle conseguenti incertezze che vivono migliaia di famiglie di persone occupate in questo settore. Si, perché a chi improvvidamente dice che i teatri si possono chiudere, perché tanto non producono business, dobbiamo ricordare che tutto il comparto dello Spettacolo dal vivo, sviluppa un milione di posti di lavoro e un volume di 10 miliardi l’anno. Dico questo perché penso che ci vorrebbe, nell’attesa che tutto torni alla normalità, più passione popolare e, ovviamente, più attenzione da parte delle istituzioni per salvare i destini dei nostri teatri, dei luoghi di spettacolo, e di tutti coloro che vi lavorano. Quello stesso accaloramento che il dibattito pubblico, anzi quella che Pier Vittorio Tondelli definiva “la sublime arte del cazzeggio nazionale”, esercita in interminabili discussioni su partite di calcio rinviate e esami taroccati di famosi e strapagati calciatori. Insomma, non possiamo rinunciare ai nostri teatri, sarebbe una resa e significherebbe consegnare a questo maledetto virus la nostra cultura e la nostra anima. Tutti insieme non permettiamo che questo accada.

Foto di Andreas Glöckner da Pixabay